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COME, QUANDO E PERCHE' SI MANIFESTA UN SINTOMO

Con questo contributo cerchiamo di capire quel passaggio cruciale in cui una “normale” condizione emotiva (come la tristezza, la paura, la stanchezza, la noia, ecc…) diventa un sintomo (ansia, depressione, fobia, attacco di panico). Come potete immaginare, si tratta di un tema molto complesso, articolato, dibattuto, al quale, tra l’altro, sono state destinate trattazioni e spiegazioni diverse in rapporto alle differenti concezioni di uomo e di psicopatologia di cui ogni prospettiva psicoterapeutica è portatrice. Con tutti i limiti, le generalizzazioni, le difficoltà del caso, proviamo comunque a proporre una chiave di lettura coerente con quanto stiamo dicendo nella nostra rubrica.
di spiegare nel modo più semplice e diretto possibile
 Riassumendo per sommi capi il percorso abbozzato negli ultimi interventi, le due tesi principali che abbiamo argomentato le possiamo sintetizzare in questi termini: non tutte le emozioni, seppur molto spiacevoli, che nel corso della vita si sperimentano possono essere rubricate alla voce psicopatologia (ossia, per fare un esempio, si può attraversare un periodo di profonda tristezza legato a un lutto o a un fallimento senza che per questo si debba necessariamente parlare di depressione in senso strettamente ed esclusivamente clinico); la seconda tesi che abbiamo argomentato è che quanto più siamo in grado di ricondurre a noi ciò che sperimentiamo (ossia al nostro modo di vivere, essere esposti e sensibili a certi “temi” piuttosto che ad altri, alle nostre linee di frattura come alle nostre risorse) tanto più saremo in grado di interpretare e spiegare a noi stessi ciò che ci accade. Il che vuol dire sentirsi meno vulnerabili a quella percezione di assenza di controllo e assoluta esposizione che è il lato più comune e allarmante delle forme più diffuse di disagio psichico (ansia, attacchi di panico, disturbi dell’umore).
Ma quando - per tornare alla nostra domanda - si manifesta un sintomo? In termini molto generali, affidandoci a un modo di concepire la psicopatologia che è comune a diverse tradizioni di ricerca, possiamo abbozzare qualche indicazione. La prima è una diretta conseguenza di ciò che stiamo dicendo: laddove non riusciamo a capire quello che ci sta succedendo emotivamente e a darcene una ragione saremo più esposti a sviluppare sintomi. Il punto è sempre quello: comprendere, rapportare a sé e, infine, farsi carico di quello che ci sta accadendo sul piano emotivo, mettendolo in relazione con ciò che ci sta capitando nella fase di vita in corso.
La seconda indicazione è correlata alla prima: ascoltare con estrema attenzione ciò che il nostro corpo e la nostra mente ci dicono, soprattutto laddove segnalino un malessere. Se questi segnali non vengono “intercettati” e ascoltati è possibile che diventino un sintomo.  Mi viene in mente il caso di una paziente, che ho avuto in cura qualche anno fa, rivoltasi a me per una grave fobia legata all’automobile. Questa signora saltava da un impegno all’altro per i figli, il marito, la suocera, spendendosi oltremisura e facendosi carico di tutto, sia sul piano pragmatico che emotivo. Era arrivata a pesare 48 chili, al limite delle forze, eppure continuava in quella modalità che a lei sembrava senza alternativa. Fino a che non è arrivato il sintomo a “bloccarla” e a “costringerla” ad abbassare il ritmo. E’ come se il suo organismo, dopo molte indicazioni rimaste inascoltate, ad un certo punto avesse sviluppato una forma di difesa che - questa volta -  non avrebbe potuto essere bypassata.
Paradossalmente, in alcuni casi,  un sintomo di natura psichica può essere letto come un’estrema, disperata e improcrastinabile richiesta di aiuto da parte di un organismo, inteso nel senso di essere totale e unico, in estrema difficoltà nel mantenere l’equilibrio che si era dato e che per tanta parte della vita aveva funzionato.

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