C’è un sottile filo conduttore che percorre il nostro
itinerario virtuale: l’attenzione
all’emotività, a ciò che proviamo. Dai nostri primi interventi su “Dove si
nasconde la salute”, fino allo scorso appuntamento dedicato all’educazione
emotiva, il comun denominatore di ciò che stiamo cercando di argomentare è la
cura per quello che proviamo. L’idea di
fondo è che quanto più siamo consapevoli di ciò che viviamo sul piano emotivo e
riusciamo ad esprimerlo, tanto meglio stiamo.
Nell’esperienza quotidiana questa correlazione ci è
costantemente sotto gli occhi. Quante volte ci troviamo nelle condizioni di dire:
se gliel’avessi detto…; se ci avessi provato…; se avessi espresso ciò che avevo
in animo di fare… In effetti, come abbiamo già osservato, una delle poche
regole universali della psicologia è che
il non detto agisce molto più del detto. Ossia, tutto ciò che non viene
espresso si manifesta e agisce con modalità più forti e difficili da
individuare nell’esperienza personale.
Pensiamo agli esempi più banali: quante volte la frase di un
amico o di una persona cara ci ha ferito e non abbiamo avuto la forza di chiarire
subito quell’episodio. Ce lo siamo così portato appresso per tempo, magari
rimuginandoci sopra, pensando a chissà quale motivazione ne fosse all’origine e
alimentando emozioni molto intense. Poi è sufficiente un piccolo chiarimento,
magari avvenuto casualmente, per dissolvere un pesante circolo vizioso di
emozioni e pensieri spiacevoli.
Non esprimere ciò che
si prova produce “scorie” che si alimentano e sedimentano nel tempo. La
rabbia non espressa, tipicamente, produce risentimento e chiusura; il senso di
colpa produce comportamenti ambivalenti e difficili da decodificare; la
delusione e il senso di esclusione producono a loro volta rabbia. Anche sul
versante opposto, quello delle emozioni positive e piacevoli, la mancata
espressione fa danni. Una gioia manifestata a metà, un sorriso che si dispiega
solo in parte, un ringraziamento che rimane in bocca, un abbraccio fatto con
metà corpo lasciano un senso di incompiutezza inevitabile.
L’espressione di sé,
come abbiamo già avuto modo di dire, è
salute, sia in termini di manifestazione delle proprie capacità e
potenzialità, sia nella più diretta e immediata apertura a ciò che si prova. “Liberatorio” è l’aggettivo che più
frequentemente si associa all’espressione di ciò che si prova, a prescindere da
quale sia il suo contenuto.
Su questo stesso versante la medicina contemporanea ci dà
man forte con una serie di ricerche che, negli ultimi decenni, hanno indagato
la relazione tra emotività non espressa e alcune patologie somatiche con un
forte impatto sociale. Tutto il settore della psicosomatica ha conosciuto uno
sviluppo incredibile negli ultimi anni, andando a individuare correlazioni fino
a qualche tempo fa insospettabili. Che
il mondo emotivo abbia una ricaduta diretta sul piano somatico è ormai un dato acquisito
in tutte le branche della medicina, dalla dermatologia alla ginecologia,
dalla pneumologia all’oncologia.
Ma ciò che sta emergendo in modo sempre più chiaro è la relazione diretta tra patologia somatica ed
emotività non espressa. In particolare i recenti studi del gruppo di
Rozanski e Kubzansky hanno messo in evidenza che la difficoltà ad esprimere emozioni spiacevoli, soprattutto la rabbia,
è direttamente correlata alla probabilità di sviluppare sindromi ischemiche a
livello cardiaco.
Prestiamo attenzione, dunque, a quello che proviamo e al
modo in cui lo esprimiamo. Ne va non solo della nostra salute, ma addirittura
della nostra vita!
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