Chiuso l’excursus sul tema della
felicità, torniamo a trattare dell’evitamento, o fuga, per usare un termine più
comune. Dicevamo, nell’intervento precedente, di quanto sia potente la
tentazione di scappare ogniqualvolta ci troviamo a che fare soprattutto con la
paura e il dolore. Osservavamo anche quanto sia efficace, come strategia, la
fuga, ma che poi generi “effetti collaterali” fortemente spiacevoli, ossia un
potenziamento della paura o del dolore stessi e un forte impatto sull’autostima.
Oggi focalizziamo la nostra
attenzione sulle modalità attraverso cui
la fuga interviene in modo quasi invisibile e “dissimula” le proprie mosse.
Il senso comune individua come fuga la circostanza in cui una persona, di
fronte a una opzione dolorosa, paurosa o semplicemente difficile, sceglie deliberatamente di non affrontarla.
In effetti si tratta di una fuga, in senso proprio, ma la scelta consapevole di
fuggire è il meno problematico degli evitamenti nella misura in cui è una
scelta completamente trasparente:
dopo aver ben visto un certo ostacolo si è deciso di non affrontarlo. Un
esempio potrebbe essere il seguente: sono certo che il nuovo posto di lavoro
che mi è stato offerto sarebbe migliore del mio attuale, ma siccome ho troppa
paura di trovarmi a disagio nel nuovo ambiente, scelgo di rimanere dove sono.
Siamo di fronte a una fuga a
tutti gli effetti – dicevamo – ma in cui è tutto ben visibile. Al momento quel
tipo di ostacolo (la paura di andare in un nuovo posto di lavoro) non sembra
affrontabile, ma è chiaro che cosa è in gioco. Il che significa che ci si può
lavorare insieme per cambiare le cose.
Molto più complessa è invece la situazione in cui la paura agisce
cambiando le carte in tavola e rendendo inaffrontabile la situazione.
Faccio un esempio clinico relativo sempre al mondo del lavoro. Qualche anno fa
ho seguito uno studente (chiamiamolo Cristian), arrivato all’ultimo esame prima
della laurea, che si era completamente bloccato. Il modo in cui raccontava a sé
stesso e agli altri quello che gli stava capitando suonava alternativamente in
questi termini: “Ho perso completamente la motivazione allo studio e non riesco
più ad andare avanti”, oppure “Non riesco più fisicamente a concentrarmi,
quindi penso di avere un disturbo neurologico”, oppure ancora “In fondo non mi
è mai importato nulla della laurea, è solo un pezzo di carta. Le cose
importanti nella vita sono ben altre”. Tutte argomentazioni che possono suonare
plausibili (tranne, una volta effettuati gli accertamenti medici, la seconda),
ma dietro le quali c’è qualcosa di più
profondo, che anche Cristian intravede, ma non focalizza appieno. E’ lui il
primo a sentire che le spiegazioni che si dà non gli permettono di comprendere
fino in fondo ciò che sta accadendo. Non fosse altro per il fatto che sono
spiegazioni molto differenti e che si alternano nella sua mente senza soluzione
di continuità e senza mai approdare a un punto fermo. E’ come se quelle
spiegazioni cogliessero qualcosa di ciò che sta accadendo a Cristian, ma più negli effetti che nelle cause.
Descrivono, cioè, parte di ciò che sta accadendo, ma non la sua motivazione più
profonda.
Scendendo pian piano dal livello
della spiegazione a quello dell’emotività pura, nel corso dei colloqui, è stato
poi Cristian in prima persona a dire che ha paura di compiere quest’ultimo
passo prima della laurea in architettura. “Poi non si scherza più – sono le sue
parole - tutto ciò per cui ho faticato in
25 anni sarà lì da vedere. E se in effetti non mi piacesse? Se non fossi in
grado? Se rimanessi totalmente deluso dal tipo di lavoro?”.
Eccola lì di nuovo, la paura, e
dunque l’evitamento, la fuga. Ma nascosta sotto le mentite spoglie del
disinteresse, di una sospetta stanchezza o addirittura di una presunta malattia.
La paura, per sua natura, ama
camuffarsi, nascondersi, rendersi irriconoscibile dietro figure di copertura
che spostino l’attenzione. Il perché
è comprensibile: non posso affrontare ciò che neppure vedo. E’ così che la
paura vince la sua sfida (di evitare situazioni vissute come potenzialmente
pericolose) attraverso l’autoinganno. Una volta smascherata diventa affrontabile.
Come ha fatto Cristian, che alla fine il suo ultimo esame l’ha dato.
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